Area riservata YatW
Ecco i primi capitoli del mio nuovo romanzo. Saranno aggiornati i contnuti man mano che verranno scritti.
Inviare le crtiche ed i commenti a l.leone@yatw.it ricordando di indicare il capitolo e ovviamnte il suggerimento.
Grazie a tutti per la collaborazione.
4
Il Benfica è una società particolare che, come tutti i Club importanti, ha grande considerazione del proprio passato. Perché il passato è alla base della gloria e del prestigio. Questo prestigio si formò tutto nel decennio 1960-1970 grazie a quel genio del Calcio che fu Eusebio: 291 reti in 313 partite di campionato con una media goal di 0,93; 57 reti in competizioni internazionali e 41 goal in nazionale in 67 gare disputate.
11 campionati nazionali vinti, 1 coppa dei campioni, 1 pallone d'oro, 2 scarpa d'oro, 7 volte capocannoniere del campionato portoghese, 3 volte capocannoniere della coppa dei campioni e capocannoniere del Mondiale d'Inghilterra.
Chiunque si trovi a giocare punta o meglio centravanti nel Benfica dovrà confrontarsi con questo Mostro inavvicinabile. Per fortuna non toccava a me.
Negli anni 1994-2004 il Club fu governato con una politica scellerata. Vennero sperperati milioni costruendo rose da più di trenta giocatori che non portarono a nulla, ma da questi errori il Club imparò a gestire il patrimonio. Il presidente Vieira eletto nel 2003 si impegnò immediatamente nell'ammodernamento dello Stadio per gli Europei dell’anno successivo, facendone uno dei tre o quattro migliori impianti del mondo, vera e propri casa del Club e orgoglio di ogni tifoso, giocatore, tecnico e dirigente. Per non parlare del centro di formazione sportiva costruito proprio a Seixal acanto al campo dove mi allenavo da piccolo. Il centro di formazione ed educazione sportiva più moderno del mondo. L'idea era già nell'aria ma la tragedia di Miklós Fehér ne accelerò la realizzazione. Si punta molto sui giovani nel pieno spirito polisportivo del Club e la cura della preparazione fisica è alla base di ogni attività, proprio per cercare di evitare il ripetersi di tragedie come quella.
Vieria poi ingaggiò Giovanni Trapattoni che riportò il titolo nazionale al Club dopo dieci lunghissimi anni. Puntò sul rifondare le casse del Club con una politica di valorizzazione del patrimonio atletico. Il vivaio è alla base della rosa, gli osservatori sono attivissimi nello scoprire giovani di talento e poi rivenderli a squadre più blasonate, come Yebda algerino che nel 2010 andò al Napoli o Ramires al Chelsea e Witsel venduto ahimè allo Zenit di San Pietroburgo. Dico “ahimè” perché persi un buon amico oltre che a un grande giocatore.
Andò via anche Saviola e al 12 di agosto pure il mio contratto era in discussione. La mia fortuna fu che mi voleva, e giuro non seppi mai per quale motivo, lo Sporting. Mi avevano cercato forse perché informati del mio lavoro con Marela. Anche loro avevano in rosa un giovane promettente.
Ora bisogna capire l'”odio” sportivo, ma non solo, che c'è tra i due Club della Capitale. O Clàssico è più di una partita è più di tre punti è più di novanta minuti. Derby Eterno perché lo è. Lotta di classe prima, lotta di sogni poi. La classe operaia che diventa gloriosa nel mondo, le Aquile che battono i Leoni, i Leoni che azzannano le Aquile. Vincerlo significa dominare il territorio fino al successivo scontro.
E lo scontro è totale. Di uomini sul campo, NO NAME BOYS contro Juventude Leonina, Diabos Vermelhos contro Torcida Verde, Stadio Da Luz contro Stadio José Alvalade, Bairro contro Bairro.
Impensabile saltare la sponda, meglio andare via dalla Città o, nel mio caso, meglio smettere.
Il mio agente però, la chiamata da Godinho Lopes la ricevette, e soppesò l’offerta.
Il Benfica, d’altra parte, si trovava in una situazione sfavorevole: Artur sarebbe rientrato a fine Novembre, Marela era troppo giovane per affrontare Campionato e soprattutto Champion’s League. O interveniva sul mercato comprando un portiere di un certo livello per affrontare la massima competizione europea o rischiava o confermava il sottoscritto che aveva dalla sua una certa esperienza internazionale avendo giocato in Uefa con il Vitória Guimarães .
Fui convocato dal Mister Jorge Jesus nel suo studio al Caixa dopo un allenamento di rifinizione. Mi parlò da amico con gli occhi fissi nei miei. Nel corso degli anni un professionista passa diversi stadi di considerazione per il proprio allenatore. Da principio sei piccolo e lui è un adulto che impartisce ordini, non li discuti proprio per la differenza di età. Poi diventa quasi un amico quando sei adolescente e devi decidere cosa fare della tua vita. Alla fine è un compagno di squadra che ha un suo ruolo proprio come ce lo hai tu. Ha i sui doveri e i suoi oneri, ma a differenza tua rischia il posto di lavoro praticamente ogni settimana. Il suo successo è legato a filo doppio ai giocatori che ormai si credono uomini e lo trattano alla pari. Se un tecnico riesce a conquistare la fiducia della squadra, può metter in campo le sue idee e lavorare in maniera positiva, può soprattutto mettere in pratica le sue capacità, ma se la fiducia non è totale, per quanto genio di tattica e metodo, il suo lavoro andrà in fumo. Il rovescio della medaglia è che se crolla l’allenatore, tutta la squadra ne risente, magari nessun giocatore perderà il posto, ma una stagione andata a male può significare ingaggi meno elevati, categorie inferiori o peggio ancora svincoli di contratti non desiderati. L’alchimia perfetta è il gruppo unito che rema verso un obiettivo comune. Se il Mister riesce a crearla allora si possono raggiungere grandi risultati. Ricordo un caso su tutti, la squadra italiana della Lazio con a capo Maestrelli. I giocatori avrebbero dato tutto per il loro Mister e lui ricambiava con la stessa moneta.
Comunque Mister Jesus è un buon tecnico ben supportato dal Club. Il lavoro di coesione della squadra che aveva intrapreso era a buon punto e me lo disse senza peli sulla lingua: -Resti perché sei uno di casa. I meriti sportivi c’entrano fino ad un certo punto. Allenati bene e pensa solo a questo. E’ la tua ultima occasione, giocatela fino alla fine.-
Ottenni quindi un ingaggio per un anno, mi fu concesso inoltre di scegliermi un preparatore atletico che mi seguisse personalmente. Nel mio cervello dissi che avrei giocato fino a Dicembre poi Artur avrebbe ripreso il suo posto e tutto sarebbe finito. Avevo ancora quattro mesi di gloria.
Mio padre mi presentò Nuno Barbosa, di dieci anni più giovane di me. Atletico e mediterraneo. Papà mi disse di non preoccuparmi dell’età, che era bravo specialmente con i portieri. Nuno non ci mise molto a confermarlo con i fatti.
Fui mandato dal Club alla cerimonia del sorteggio dei Gironi di Champion’s insieme al Direttore Sportivo… Manuel Rui Costa. Nel viaggio che ci portava a Nyon ebbi modo di conoscerlo. Gli raccontai dell’episodio che aveva segnato la mia carriera e di come avevo perso tutti i treni che la vita mi aveva messo difronte. –Beh, non tutti se ora sei qui…- Sorrise. –Quindi è un po’ anche merito mio… non trovi?- E’ una grande persona Manuel, con una voce profonda e rassicurante. Parlammo tanto dell’Italia e di Firenze, dove aveva lasciato parte del suo cuore. Mi disse di stare tranquillo e di pensare solo a giocare. Che ero in una posizione vantaggiosissima perché nessuno si aspettava nulla da me e lavorare senza pressioni non ha prezzo, mi raccontò invece che fin da piccolo su di lui si puntava grosso e questo gli aveva fatto perdere un po’ la gioia della gioventù. Ricordava il periodo dell’Under 20 che fu il più bello della sua carriera e forse anche dove giocò il calcio migliore e poi della pace ritrovata nella Fiornetina, dove, nonostante le pressioni incredibili dell’ambiente italiano, lui aveva avuto il periodo più felice della sua vita, lì era diventato uomo. E soprattutto mi parlò di Batistuta: -Bati non ha rivali nel suo ruolo. E’ nato per fare goal. E sono sicuro che lo segnerà anche a San Pietro quando sarà chiamato da lui a raccontare cosa ha fatto nella vita. Un giocatore fenomenale che non ha vinto quanto avrebbe meritato. – Sospirò. –Molto spesso, in un’azione di contropiede, correva vicino a me, ma dico a mezzo metro da me. Mi infastidiva perché non avevo raggio d’azione, mi toglieva la visuale e non capivo perché non scattasse verso la porta eppure, appena un avversario o due venivano a contrastarci, lui scattava con un fulmine e io non potevo far altro che dargli la palla. Un vero Diavolo. Ma anche lui, come te, deve dirmi grazie gli avrò servito mille assist e ne ha capitalizzati appena il sette per cento.-
Manuel mi faceva ridere con quei racconti e aveva ragione riguardo al vantaggio di giocare senza pressioni, ma le aspettative ce le avevo io. Io stavo per giocarmi tutta una carriera sportiva in quattro mesi. Avevo ancora addosso quel senso di responsabilità verso tifosi, familiari ed amici. Giocare per loro.
In quel momento decisi di farlo prima di tutto per me. Questo aumentò il mio senso di solitudine. Guardavo Rui e nonostante ci separassero pochi anni vedevo in lui un uomo, mentre io ero ancora un bambino che si divertiva a prendere al volo un pallone. Era avanti a me anche in questo. Mi chiesi se lo avessi mai raggiunto. Alla fine del volo una cosa però era cambiata. Avevo smesso di odiarlo.
La cerimonia del sorteggio fu divertente. In quella sala, che sembrava molto più piccola che in televisione, assistei all’agire del fato. Fui chiamato anche io a commentare un risultato che ci vedeva in un girone difficile insieme a Celtic, Spartak Mosca e soprattutto il Barcellona di Messi.
Lì con la divisa del Club rappresentavo la mia nazione. Mi sentii orgoglioso per la prima volta nella mia vita, orgoglioso di essere portoghese orgoglioso di essere il numero 43 del Benfica O Glorioso!