La pubblicità contiene le uniche verità affidabili di un giornale.
Thomas Jefferson
presidente degli Stati Uniti


Con la pubblicità non dobbiamo vendere al consumatore la bistecca, bensì lo stuzzicante momento in cui la soffriggerà in padella.
Ernest Dichter
psicologo statuintense


Gli ideali di una nazione li capisci dalla sua pubblicità.
Norman Douglas
scrittore inglese


Perchè continuo ad investire in forti campagne pubblicitarie anche adesso che la mia azienda è
diventata il maggior produttore mondiale di chewing gum?
Per lo stesso motivo per cui il pilota di un aereo tiene i motori accesi anche dopo il decollo.
J. Wrigley
industriale statunitense


Deve essere un panorama meraviglioso per chi non sa leggere
(osservando le scritte luminose in Times Square a New York).
G. K. Chesterton
scrittore inglese


Nulla, a parte la zecca, può fare soldi senza pubblicità.
Thomas Babington Macaulay
storico e politico inglese


Anche Dio crede nella pubblicità, infatti ha messo campane in ognuna delle sue chiese.
Sacha Guitry
attore e commediografo francese


Molte cose piccole sono diventate grandi con un appropriato uso della pubblicità.
Mark Twain
scrittore statunitense


Chi smette di fare pubblicità per risparmiare i soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo.
Henry Ford
industriale statunitense


Quando scrivo un testo pubblicitario non voglio che lo si consideri creativo, ma tanto interessante da far comprare il prodotto.
David Ogilvy
fondatore dell’Agenzia di pubblicità Ogilvy & Mather



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Ecco i primi capitoli del mio nuovo romanzo. Saranno aggiornati i contnuti man mano che verranno scritti.

Inviare le crtiche ed i commenti a l.leone@yatw.it ricordando di indicare il capitolo e ovviamnte il suggerimento.

Grazie a tutti per la collaborazione.

6
Il telefono squillò e José lo sentì come una voce lontana venuta fuori dal nulla. Man mano che si svegliava i particolari sonori aumentavano: lo scroscio della doccia, la musica dello stereo, il motore della caldaia e inevitabilmente ed inesorabilmente il vento.
Quella zona, come tutta la costa ovest di Lisbona e dintorni era terreno incontrastato del vento che sferzava, freddo, senza pietà. In primavera e in estate potrebbe anche risultare piacevole, ma in inverno la terra stessa vorrebbe ripararsi da quell'impeto che gonfia l'oceano... già l'oceano. José si concentrò e alla fine anche il rumore delle onde arrivò ai suoi timpani. Il telefono però era il suono più vicino. Allungò la mano fino al comodino e afferrò il cellulare. Suo fratello Jeorge non lo si poteva certo definire un perdigiorno.
-Ehilà campione, allora rispondi. Bello mio lo so che sei in pensione, ma sono le 10 e fra due ore devi essere all'altro capo del mondo.-
Josè fece un bel respiro prima di parlare: -Cachorro, buongiorno. Uffa sei petulante come tuo solito. Ce la faccio, ce la faccio.- Continuativa a chiamarlo “Cachorro” “Cucciolo” come da bambini, rifacendo il verso alla mamma che bollava così il piccolo della famiglia.
-Si certo. L'ultima vota sei arrivato con due ore di ritardo. Da domani ti godi il mondo  oggi fai questo ultimo sforzo. Dai ti aspettiamo.-
José lanciò il telefono dall'altra parte del letto e abbracciò il cuscino. La famiglia si riuniva ogni primo sabato dopo l'epifania, per tradizione. L'aveva cominciata il nonno André perché non sopportava di vedere figli e nipoti solo durante le feste natalizie e allora pretendeva queste riunioni ad intervalli mensili, la prima delle quali proprio dopo la Befana, -Per farla in barba alla vecchia.- sosteneva.
Catarina entrò avvolta nell'accappatoio bianco con in testa un asciugamano anche esso bianco arrotolato come un turbante. La pelle dorata risaltava sul collo e sul volto pulito, splendido senza trucco. Sorrise osservando il marito raggomitolato come un gatto. Era  meravigliosa e piena di vita. Notò lo sguardo trasognato dell'uomo e di rimando incrociò gli occhi e fece una linguaccia. -Dai poltrone che facciamo tardi e proprio non mi va di far aspettare i tuoi.- Gli tirò addosso l'asciugamano liberando i capelli neri come l'ebano. Lui rimase a bocca aperta. 
-E' così importante sapere cosa farò domani?- Si disse. E afferrò la moglie con un balzo. -Stupido che fai pari anche me?- Esclamò lei mentre rideva.
-Certo e non ti lascio andare via...- La baciò con tutta la passione di cui era capace e lei ricambiò con tutto il calore che aveva.
L'“altro capo del mondo” in realtà era il ristorante O Solar de Benfica situato in Travessa Cruz da Era al numero 7 nel Bairro di Benfica appunto.
Nato dal recupero di una vecchia scuderia di cavalli e da una officina era situato a circa un paio di chilometri dallo Estadio da Luz ed era uno dei sei locali del gruppo A ARANHA, il Ragno, La società di cui José era il co-proprietario. Il gruppo comprendeva tre ristoranti e una caffetteria a Lisbona, una Villa per eventi appena fuori città e un laboratorio artigianale di ceramica. L'idea era stata dell'agente e procuratore di José, Federico de Santos, che per sua indole e per motivi lavorativi era sempre in giro. Aveva notato alcuni locali con del potenziale che non venivano valorizzati a dovere, quindi sfruttando l'immagine di José Henrique e di Nemanja Matic,  suo compagno di squadra,  legandoli molto all'ambiente del Club e al Bairro Benfica aveva spinto per questa società puntando decisamente sul food. Un investimento che aveva dato i suoi frutti.
L'idea di de Santos era quella di lasciare una buona parte di introiti ai vari gestori, cosa che avrebbe sicuramente motivato chi ci lavorava, concentrando l'immagine Benfica (Club e territorio) però sulla tradizione culinaria del Bairro, sia che il locale fosse rustico, sia che fosse moderno e sofisticato. Ogni cliente del quartiere doveva sentirsi a casa, ogni tifoso doveva sentirsi come in un luogo del Club.  O Solar de Benfica, apparteneva sicuramente al gruppo dei locali rustici con il suo ambiente spartano, le piastrelle bianche applicate fino a metà parete, le travi a vista e l'enorme bancone dove facevano bella mostra di sé i pesci freschi e una bilancia da mercato per pesarli. Più che un ristorante sembrava una tascas del Bairro Alto, ma riscuoteva il suo successo. Non si faceva difficoltà a trovare qualche membro della squadra a pranzo o a cena e questo aumentava la popolarità del locale.
Mário Jorge Rodrigues aveva preparato una tavolata per raccogliere tutti e ovviamente nessun menù. Avrebbe cucinato lui, come al solito, quello che aveva trovato al mercato di  Cais do Sodré.
Mário Jorge Rodrigues era un uomo sulla sessantina, da sempre abituato a lavorare con il cibo. Suo nonno cucinava sulle navi da crociera, suo padre era cuoco in un ristorante proprio a Cais do Sodré ed è proprio seguendo il padre nel comprare il pesce al mercato che aveva imparato a riconoscere e poi a cucinare quelli migliori e ovviamente a preparare il baccalà. A Lisbona si narra che ci siano 365 ricette per preparalo, una per ogni giorno dell'anno, Mário sicuramente ne conosceva almeno una per ogni suo anno di vita. Calmo, tracagnotto, pelato e con i baffetti. Il ritratto dell'oste, con le maniche della camicia, rigorosamente bianca, perennemente arrocciolate fin sopra i gomiti.
José e Catarina entrarono che gli altri stavano già smangiucchiando. Mário venne loro incontro sorridendo e abbracciò José e fece il baciamano a sua moglie. -Non ti smentisci mai è campione? Solo agli allenamenti arrivavi sempre puntualissimo.-Sbraitò il fratello dal suo capotavola. Il posto era suo fin da bambini, era lui che sedeva difronte al padre a cena, sempre. Josè e Catarina salutarono i nipotini Lucia e André, figli di Jeorge e Anna, poi i genitori. Il clima era festoso e il chiasso dei due bambini che si litigavano i giochi era simpatico quanto le lentiggini che ricoprivano i loro visi. Anna era rossa di capelli e i bambini ne avevano ripreso i colori.
Mário aveva preparato il bacalhau á Gomes da Sá (lessato con le patate e condito con cipolla, olive e uova sode) perché era quello preferito dal Nonno. Non lo aveva mai conosciuto ma sapendo della tradizione di famiglia, aveva pensato di fare una cosa gradita. Si parlava del più e del meno, soprattutto dell'imminente viaggio di José e Catarina. Non avevano mai avuto l'occasione di fare un vero e proprio viaggio di nozze, per gli impegni di entrambi e la pensione anticipata di José era l'occasione giusta.
Rio, Bahia, Manaus in Amazonia, Hawaii, Fijii, Australia. Per soddisfare i desideri di tutti e due. Un mese e mezzo di assoluta avventura, un mese e mezzo vissuto in due. Finalmente. Da quando erano sposati o per le partite di José o per le sfilate o i servizi fotografici di Catarina non erano riusciti a convivere continuativamente che per più di un paio di settimane. Erano sempre un tre o quattro giorni e quasi sempre il lunedì o il martedì ma con intervalli a volte anche di tre settimane. Ora finalmente poteva cominciare la loro vita. O almeno così credevano entrambi.
La domanda di Mamma Julia arrivò mentre i bambini stavano gustando la loro francesinha, una cotoletta con sopra il formaggio fuso, l'uovo ma senza salsa di birra, vista la giovane età dei due. -Dopo, che farai José?-
-Già, dopo che farai? Hai deciso?- Fu l’eco del fratello e del padre.
-No, non ho ancora deciso.- Sorrise José giocherellando con il suo bicchiere e tenendoci fisso lo sguardo. Cercò la mano della moglie che arrivò immeditamente a stringere la sua. Ne avevano parlato, ma effettivamente José non riusciva a pensare e per il momento ad accettare di aver smesso di giocare a pallone. Non sapeva fare altro, non voleva finire a commentare partite per qualche TV e il Benfica non gli aveva prospettato nulla. Ma comunque un ruolo manageriale non lo convinceva. Lui voleva solo il campo. Una droga difficile da dimenticare. Aveva atteso per anni quei momenti e appena arrivati erano già volati via senza neanche il tempo di metabolizzarli, di capire che stavano avvenendo veramente. –Già, cosa farò dopo?- Pensò ancora una volta, ma non lo disse. Quello che disse fu:-Per il momento penso solo a mia moglie.- e strinse forte la sua mano, ma sapeva di mentire. Pensava solo che avrebbe voluto tornare ad allenarsi e poi che il prossimo marzo ci sarebbe stato il derby e lui non avrebbe avuto nessuna possibilità di giocarlo. Perché era l’unica cosa che sapesse fare.
Ora, per la prima volta dopo tanti anni, si trovava a vivere fuori area, fuori dal suo mondo e non sapveva da che parte guardare, non sapeva come affrontare i giorni che fino a quel momento avevano avuto un ritmo scadenzato e rassicurante. Si sentiva come Novecento, il pianista di Baricco, che sulla sua nave da crociera era il re e che visse lì tutti suoi giorni. Lui lo avevano scaraventato giù dalla nave con la forza inesorabile del tempo e ora era tutto nuovo, ma lui non aveva entusiasmo per le novità, rivoleva quella routine, rivoleva il suo mondo.
Avrebbe valutato. Avrebbe soppesato. Ne avrebbe parlto con Jeorge… ma non ora ora c’era il viaggio… ora c’era Catarina e poi di che preoccuparsi? Aveva tutto.